Scranton, Eric Trump, Republican Party

Trump e l’anno che verrà (pure quello successivo)

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Il 2019 è appena iniziato e già in America si pensa al 2020, quando le Elezioni Presidenziali potrebbero lasciare Donald Trump alla Casa Bianca.


WASHINGTON — Previsioni per il 2019? Donald Trump rimarrà alla Casa Bianca. Previsioni per il 2020? Donald Trump rimarrà alla Casa Bianca, se i Democratici non correggeranno il tiro.

Possibilità che queste previsioni siano corrette, in una scala che va da zero a cento? Settanta. Fare previsioni costa nulla. E le Elezioni del 2016, con la scioccante vittoria di Trump, hanno insegnato una sola cosa: chiunque può sopravvivere alle proprie errate previsioni. E magari farne di nuove.

L’America si prepara a due anni di rumore di fondo continuo, quello della prossima campagna presidenziale.

Le Elezioni di Midterm 2018 sono passate da due mesi. I Repubblicani hanno incrementato la loro maggioranza al Senato, mentre i Democratici hanno appena ripreso formalmente il controllo della House of Representatives, con tutto quello che concerne soprattutto il potere di controllo sulle attività del Presidente degli Stati Uniti.

Ma la campagna elettorale, in America, è un processo senza fine. Dove cambia solo in parte la trama e i protagonisti rimangono quasi sempre gli stessi (anche per decenni). Il prossimo “Election Day”, 3 Novembre 2020, è già dietro l’angolo.

La sfida, per i prossimi due anni, sarà quella di non farsi sopraffare da questo rumore di fondo, alimentato da candidati, lobbisti, sondaggi e media. Tutto legittimo. Spesso, però, poco utile per comprendere cosa accade davvero.

PAROLA DI TRUMP

Trump, Trump 2020
Broward County, Florida, Dicembre 2018 – Sull’autostrada I-95 c’è chi sventola già una bandiera per la rielezione di Donald Trump nel 2020

Donald Trump deve mantenere le sue promesse elettorali, prime fra tutte quelle sull’immigrazione e il famoso muro con il Messico. Non sarà facile, per il Presidente.

Non ci è riuscito quando i Repubblicani controllavano entrambi i rami del Congresso. Adesso, con i Democratici al potere alla House, Trump può al massimo ottenere fondi per il pattugliamento del confine, non certo per costruire una costosa e inutile barriera.

Ma lo “shutdown” parziale, cioè la chiusura di alcuni uffici governativi federali e dei relativi servizi, potrebbe giocare a favore del Presidente. Nonostante quel che CNN, Washington Post e New York Times vanno ripetendo da giorni, mettendo in discussione le sue capacità di negoziazione. La base di Trump è con lui. Gli elettori più fedeli crederanno alla sua versione, non senza un minimo di ragione: Trump dirà loro che sono stati i Democratici a creare le condizioni per lo shutdown, perché non volevano il muro e una vera lotta all’immigrazione illegale. Convincerli del contrario sarà praticamente impossibile. Muro o non muro, Trump ha già segnato un punto.

Con tutti i distinguo possibili, le promesse relative alle tasse e al Suprema Corte sono state comunque mantenute. 

La Corte è saldamente nelle mani di giudici conservatori e lo potrebbe essere per decenni. Quanto al taglio delle tasse, che ha interessato soprattutto le grandissime aziende, poco importa se una famiglia media americana difficilmente vedrà grandi benefici sul suo conto in banca. Perché l’economia è in crescita e la disoccupazione in calo. E poco importa se molti dei nuovi lavori non saranno in grado di migliorare il reddito delle famiglie medie e di quelle più povere, in calo costante dagli anni settanta. 

Perché ciò che conta davvero è che le ragioni della vittoria di Trump nel 2016 sono ancora lì e non se ne andranno per molto tempo. Anche se nei prossimi due anni dovesse arrivare, come possibile, una nuova recessione.

TRUMP NON HA VINTO PER CASO, E I DEMOCRATICI LO SANNO

Scranton, Pennsylvania, Trump
Scranton, Pennsylvania, ottobre 2018

La globalizzazione — con i suoi vasti commerci internazionali e la delocalizzazione di produzioni che un tempo erano svolte da operai ben pagati pur non avendo titoli di studio — ha creato tanti vincitori. Ma anche tanti vinti. Donald Trump ha detto ai vinti che capisce il loro mal di pancia. Dopo decenni di quasi completa invisibilità agli occhi dei Democratici, anche solo essere ascoltati da un miliardario populista di New York, per questi elettori del Midwest e delle grandi campagne dell’heartland, è stato un successo. La soluzione dei loro problemi? Può attendere.

Per vincere di nuovo le elezioni, Donald Trump deve limitarsi ad una sola cosa: tirare a campare, galvanizzando i suoi fedeli elettori con le solite, roboanti uscite, provocazioni e promesse apparentemente impossibili.

E per il Partito Democratico? Come riprendere la Casa Bianca? Lasciando che Trump possa campare e logorarsi il più a lungo possibile. Sperando che questo sia sufficiente a convincere l’eterogenea coalizione di elettori Democratici a recarsi in massa alle urne. Per respingere il Presidente più controverso della recente storia americana. Facile in teoria, molto meno nella pratica.

TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE

Donald Trump, la sua famiglia e le sue imprese sono al centro di decine di scandali e inchieste. Quella del Procuratore Speciale Mueller, sull’interferenza russa nelle elezioni del 2016, e sulla possibile collusione del Presidente USA e dei suoi collaboratori con i russi, è sicuramente la più importante. Ma ci sono anche indagini per conflitto d’interesse, che coinvolgono la Trump Organization e la Fondazione Trump. E ancora inchieste che interessano molti segretari del suo Governo.

Putin, Putin-Trump, Trump, Women's March, Trump-Russia
Washington, D.C., Women’s March, 21 Gennaio 2017 – Manifestanti alludono alle interferenze russe per eleggere Trump nelle Presidenziali del 2016

Un impeachment di Trump è sempre possibile, ma non è il primo desiderio dei Democratici. Perché Trump lo userebbe contro di loro come una clava, chiamando a raccolta la sua fedele base elettorale per proteggere il Presidente da quello che verrebbe dipinto come un attacco contro il volere del popolo. I veri problemi di Trump potrebbero sorgere solo lasciando la Casa Bianca e tornando un cittadino comune. Per questa ragione il controllo della Suprema Corte, e la nomina di giudici conservatori nei principali distretti federali, sono al centro dei pensieri di Trump e del suo entourage.

I Democratici hanno bisogno di tenere Trump sotto scacco il più a lungo possibile. La minaccia di un sempre imminente impeachment dell’odiato Presidente servirebbe per tenere motivata la loro base. Soprattutto, unita. Perché gli elettori Democratici, a differenza di quelli Repubblicani, sono un gruppo che si tiene insieme molto a fatica.

IL PARTITO SENZA IDEA MA CON TANTE IDENTITÀ: I DEMOCRATICI

Pur tra differenze di reddito e scolarizzazione, tutti gli elettori Repubblicani condividono dei valori di fondo: patria, famiglia, Dio, armi. E, soprattutto, credono nella vera o presunta libertà offerta da un governo federale piccolo, con scarsi poteri, che non si intromette negli affari degli individui, delle imprese e dei singoli Stati.

Il Partito Repubblicano ha una visione di lungo termine molto chiara: vuole cancellare una volta per tutte le fondamentali riforme sociali, o ritenute socialisteggianti, che si sono succedute dal “New Deal” di Roosevelt alla “Great Society” di Johnson. Per gli ultra-nazionalisti e i suprematisti bianchi il vero sogno sarebbe anche quello di fare piazza pulita dell’epoca dei diritti civili. Questi valori e questa visione sono unificanti, sono loro a tenere insieme un elettorato altrimenti caratterizzato da interessi economici incompatibili. Reagan lo aveva capito.

E il Partito Democratico? Non ha una visione unificante. Non ha una visione e basta. Perché i valori che dovrebbero unire il suo elettorato sono vaghi: tolleranza, benessere, rispetto, diversità e via di questo passo.

L’America che vogliono i Repubblicani può non piacere e può, soprattutto, essere una realtà mai esistita, se non come ideale o mito per una parte minoritaria della popolazione. Ma è chiara: un’America prevalentemente bianca, con meno immigrati (dimenticando d’essere, per definizione e Storia, l’unica grande nazione di immigrati presente al Mondo). L’America sognata dai Democratici? Mistero.

Al semplice sogno americano, fatto di una casa di proprietà, una macchina e figli al college, si è sostituito un insieme variegato di rivendicazioni.

Minoranze etniche, femministe, “Black Lives Matter”, attivisti lgbt, donne che stanno finalmente facendosi spazio nelle professioni, ambientalisti, e via di questo passo. I Democratici da decenni hanno smesso di proporre una qualche idea di comunità allargata, per fare invece appello alle decine di identità diverse che compongano la vivace società americana. 

Tutti questi gruppi rivendicano la loro specifica identità, hanno legittime e giustificate aspirazioni, perché sono stati emarginati per lungo tempo. Ma stare tutti insieme, sotto lo stesso tetto Democratico, non è scontato. I valori non sono sempre gli stessi, e così gli interessi economici. 

Solo per fare un esempio: ancora oggi per tanti elettori Democratici afroamericani la famiglia tradizionale e i valori cristiani sono fonte di imbarazzo se non fastidio nei confronti degli omosessuali, così come l’idea che l’America debba essere sostanzialmente aperta agli immigrati, cioè a potenziali e reali concorrenti per gli stessi lavori umili. Sono mal di testa di lunga data, per i Democratici. E l’elezione di Obama è stata una gigantesca dose di ibuprofene.

IN GUARDIA, È TEMPO DI PRIMARIE

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Alcuni del possibili candidati alle Elezioni Primarie 2020 del Partito Democratico

Quanti candidati si daranno battaglia nelle primarie del Partito Democratico? Prevedere il numero esatto è affare da maghi. Ma immaginare che saranno tanti è una scommessa senza rischio.

Alcuni nomi sono conosciuti in parte anche fuori dall’America: Bernie Sanders, l’ex Vice Presidente Joe Biden, la senatrice Elizabeth Warren (che ha già formalizzato la creazione di un “comitato per sondare se ci sono le condizioni di una candidatura”… si, contorto).

Altri sono invece personaggi politici importanti quaggiù, ma ancora con scarsa riconoscibilità a livello internazionale: il senatore del New Jersey Cory Booker, la senatrice californiana Kamala Harris (entrambi con potenziale per attrarre i voti afroamericani e delle diverse minoranze etniche), il texano Beto O’Rourke (che ha messo sotto pressione Ted Cruz nelle Elezioni di Midterm).

A questi si dovranno poi aggiungere gli indipendenti che si presenteranno sotto il cappello del Partito Democratico. Il più nominato, perché da mesi sta girando il Paese per capire quali possano essere le sue chance, è l’ex Sindaco di New York e miliardario Michael Bloomberg. 

La lotta tra i democratici sarà dura ed è già iniziata, con molto anticipo rispetto al passato. Perché sono cambiate alcune regole e soprattutto le date delle Elezioni Primarie.

Fino al 2016, tutte le attenzioni andavano ad Iowa e New Hampshire, primi Stati a pronunciarsi sugli aspiranti candidati alla Casa Bianca. Nel 2020 le primarie della California si terranno nello stesso periodo, non più al termine del ciclo di votazioni che va avanti per mesi. Poiché la California è un grande bacino di delegati, gli aspiranti Democratici alle primarie si sono trovati già nel 2018 a dover organizzare le loro campagne elettorali.

Da mesi tutti coloro che hanno un minimo di speranza sono già nel pieno dell’attività di raccolta fondi. Michael Bloomberg, quanto a disponibilità finanziarie, partirebbe favorito, a usare un eufemismo.

L’ETERNA LOTTA TRA CITTÀ E CAMPAGNA

Chiunque uscirà dalle primarie Democratiche non avrà comunque vita facile. 

Il Partito Democratico non ha la certezza, come nelle recenti Elezioni di Midterm, di riuscire a vincere le Presidenziali puntando soprattutto agli elettori progressisti e a quelli moderati dei ricchi “suburbs” che circondano le grandi città. Perché alle Presidenziali il sistema elettorale, che è comunque un maggioritario, premia chi riesce a raccogliere voti un po’ ovunque.

Gli elettori Democratici, per naturali movimenti demografici e maliziose mappature distrettuali avvenute in passato (cosiddetto gerrymandering), sono concentrati soprattutto nelle grandi aree urbane e metropolitane, mentre una minoranza ristrettissima vive nelle aree rurali. Vincere con percentuali bulgare in grandi città come New York o grandi Stati come la California non cambia la matematica del Collegio Elettorale. Per vincere questi grandi elettori, assegnati a ciascuno Stato, basta anche un solo voto. Ne sa qualcosa Trump, che con meno di 80000 totali voti di vantaggio ha conquistato Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, necessari per essere eletto. Mentre non sono serviti a Hillary Clinton i milioni di voti in più ottenuti in California e nello Stato di New York.

Il vero problema per i Democratici è comunque uno solo, e ha un nome e cognome: Donald Trump. Sarà lui, infatti, a dettare l’agenda politica e dei media, come avvenuto nel 2016. I giornalisti riprenderanno giorno dopo giorno ogni sua parola, ogni suo commento su Twitter. Imporre la propria visione per l’America e il proprio racconto, anche ad averli, sarà un’impresa improba per qualunque candidato Democratico

GLI ELETTORI INDIPENDENTI ESISTONO

E poi, per chiudere, ci sarà un problema che per lungo tempo troverà pochissimo spazio nelle analisi quotidiane di ogni parola dei candidati. Come voteranno gli elettori indipendenti?

Nonostante quello che fingono di credere molti giornalisti politici, gli elettori indipendenti esistono davvero e non si schierano così facilmente secondo le logiche di partito. La partigianeria e la polarizzazione della politica americana hanno degli effetti sugli elettori, che sempre più si spaccano secondo logiche di appartenenza a prescindere dalla bontà delle proposte politiche. Ma sono milioni gli elettori che non ci stanno. Cosa fanno questi elettori? A volte non vanno a votare, altre volte votano per candidati di terzi partiti. Più spesso si turano il naso, e votano per quello che considerano il meno peggio.

È in quest’ultima categoria d’elettori che potrebbero sorgere problemi per i Democratici. Soprattutto se non faranno nulla per correggere il tiro e cercare di riconquistare i voti di quella “working class” che si è sentita abbandonata nei decenni in cui la globalizzazione ha spazzato via lavori e certezze. 

L’UNICORNO DEL SOCIALISMO SENZA TASSE

White House, Casa Bianca, Trump
Washington, D.C., Casa Bianca, 31 Dicembre 2018

Nelle frange più progressiste del Partito Democratico è di moda parlare di socialismo e di politiche antagoniste al capitalismo. Passare dalle parole ai fatti, o quantomeno alle proposte concrete, con tanto di conti della spesa, non è però così immediato. 

Alle recenti Elezioni di Midterm, tanti candidati Democratici di centro sono stati eletti in collegi vinti da Trump nel 2016. Questi nuovi rappresentanti ripetono senza sosta quanto sia necessario un approccio moderato per non impaurire gli elettori meno estremisti.

Ma tra i nuovi Democratici eletti alla House, alcuni hanno invece vinto a mani basse in collegi (i suburbs benestanti di cui sopra) dove il desiderio di lanciare un segnale di rifiuto netto a Trump ha prevalso sull’analisi dei programmi dei candidati.

L’idea di un “Green New Deal” o di una “Medicare for All”, cioè le proposte di riforme radicali in tema di energia, ambiente e sanità, non sono state approfondite più di tanto durante le campagne elettorali per le Elezioni di Midterm. Ma potrebbero risultare indigeste agli elettori indipendenti moderati se fossero fatte proprie dalla candidata o dal candidato dei Democratici alla Casa Bianca. 

Quelle riforme, infatti, richiederebbero centinaia di miliardi di dollari in nuove tasse. Se non migliaia. Qualunque candidato dovrebbe spiegare concretamente come realizzarle e chi pagherebbe il conto finale. Se il costo reale di queste ambiziose riforme venisse a galla, come probabile, sarebbe altrettanto probabile un rifiuto netto da parte degli elettori moderati indipendenti. Che, turandosi nuovamente il naso potrebbero lasciare Trump alla Presidenza. 

C’è da scommettere che, tra gli strateghi Repubblicani, qualcuno stia solo aspettando che questo regalo inaspettato cada dal cielo, all’orizzonte del sol dell’avvenire Democratico. Di sicuro, Karl Rove.

Buon Anno a tutti. Anche il prossimo.


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