Washington, White House

Washington, dove c’è il potere e a volte non si vede

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Nella capitale americana ai tempi di Donald Trump, tra architetture maestose, indirizzi simbolici e questioni sociali ancora aperte.

WASHINGTON — Dieci minuti alla 6.00, ci vorrà almeno più di mezz’ora per vedere le prime luci dell’alba.
Anche Union Station è ancora sonnolenta. Pochi passeggeri per i pochi treni in partenza. I negozi della più grande e principale stazione ferroviaria di Washington sono ancora chiusi mentre bar e ristoranti iniziano ad accogliere chi ha bisogno di far colazione. All’ingresso di uno dei locali già aperti, due senzatetto si contendono l’attenzione dei clienti per qualche spicciolo. Uno ha più fortuna dell’altro. Quando il primo si allontana di poco dall’ingresso per chiedermi un dollaro, il manager del ristorante si avvicina al secondo, più anziano. Gli sta porgendo un caffè e una brioche.

All’esterno la temperatura è sotto zero. Gli isolati vicino alla stazione sono semi-deserti, scarso il traffico. Nel buio la sagoma del Capitol Hill, a meno di mezzo chilometro da E Street, risulta ancora più imponente.

Washington, Supreme Court
Washington, la Corte Suprema all’alba

Nelle vie adiacenti la sede del Congresso, gli unici segni di vita sono quelli degli sparuti coraggiosi del jogging mattutino. Davanti alla Supreme Court due poliziotti fanno avanti e indietro, quasi più per riscaldarsi che non per fare davvero la guardia all’edificio. A quest’ora, però, quando sembra ancora notte, se per osservare o scattare una fotografia ci si ferma un po’ più a lungo sul marciapiede che costeggia la corte, i poliziotti si avvicinano per sincerarsi che non si tratti di qualche malintenzionato. L’imbarazzante silenzio che accompagna lo scambio di sguardi è il segnale implicito di finire con la sosta e proseguire oltre.

IL DOMINIO (DEI RAPPRESENTANTI) DEL POPOLO

A Washington sembra che nulla possa superare in altezza il Congresso. L’enfatico “We The People” con cui inizia la Costituzione americana troverebbe la sua rappresentazione simbolica e plastica nel Parlamento e nella sua mole incontrastata per legge.

Non è vero. Trattasi di un mito, ma molti ci credono ancora. Come credono che sia il Washington Monument, cioè il grande obelisco che spicca sul National Mall, ad essere per legge la costruzione più alta della capitale. In realtà la dimensione degli edifici è legata al rapporto tra altezza dei medesimi e larghezza delle strade. Nei piani di Thomas Jefferson — tra i principali Padri Fondatori e forse il principale artefice della Dichiarazione di Indipendenza — la capitale Washington avrebbe dovuto richiamarsi a Parigi, dove le abitazioni erano “basse e comode” e le “strade luminose e arieggiate”.

Quando nel 1787 a Philadelphia si svolgeva l’Assemblea Costituente, Jefferson era invece già da qualche tempo a Parigi, dove ha trascorso cinque anni della sua vita. Pur lontano, attraverso la corrispondenza con Madison riuscì comunque a far sentire la sua voce tra i costituenti. Ed oggi il Governo centrale americano è molto più circoscritto e meno forte di quello che volevano i seguaci di Alexander Hamilton. Semplificata all’estremo: mentre i federalisti di Hamilton difendevano gli interessi della manifattura industriale e del commercio, i repubblicani di Jefferson avevano più a cuore valori tradizionali e interessi dell’agricoltura. L’odierno divario sociale ed economico tra contee rurali e urbane, con tutte le sue ripercussioni politiche, dalle Elezioni Parlamentari a quelle Presidenziali, ha radici lontane. E mentre nella New York da dove arrivo, la metropoli che in un secolo si è imposta prima nel commercio e poi nella finanza globale, i grattacieli non fanno passare il sole e impediscono di vedere oltre qualche isolato, la Washington delle architetture che simboleggiano il potere istituzionale si estende a perdita d’occhio e al Congressional Cemetery non si disdegna nemmeno l’uso delle capre per tagliare l’erba.

Washington, Congress, Capitol Hill
Washington, Capitol Hill, la sede del Congresso

Con tutta la sua maestosità in verticale, la sede del Congresso non è però in grado, come peraltro avviene in tanti altri Parlamenti in giro per il mondo, di contenere gli uffici dei rappresentanti del popolo. Il Congresso ha trovato però modo d’estendersi in orizzontale, con delle succursali. Sui viali opposti che costeggiano il Capitol Hill ci sono così dei palazzi aggiuntivi, per il Senato e per la House of Representatives (la Camera).

Camminando lungo Constitution Avenue, da una delle stanze del Russell Senate Office Building, il più importante palazzo che ospita i senatori e i loro staff, riesco a vedere le luci di decorazioni natalizie che hanno ampiamente superato il mese di ritardo. Forse per opporsi in modo plateale alla presunta guerra al Natale che, secondo i più paranoici conservatori americani, i liberals e gli atei starebbero conducendo per minare le radici della cristianità nel Paese. Anche se spesso gli americani non lo sanno, l’interno del Russell Building entra con una certa frequenza nelle loro case. Il piano superiore della cosiddetta “rotunda”, infatti, con il suo colonnato fa spesso da sfondo alle interviste ai senatori nelle trasmissioni televisive politiche.

L’alba è ormai arrivata.

A sud del Capitol Hill, lungo Independence Avenue, alla finestra di una delle stanze del Rayburn House Office Building, il palazzo che fa da supporto ai rappresentanti della House, è stato affisso un messaggio di solidarietà ai “Dreamers”. Con questo nome — che deriva da un disegno di legge mai entrato in vigore — si intendono gli immigrati che da minorenni sono stati fatti entrare illegalmente in America e che l’Amministrazione di Donald Trump sta da mesi prendendo di mira con minacce e provvedimenti d’espulsione. Obiettivo del Presidente? Negoziare con i democratici una nuova normativa sull’immigrazione che preveda anche fondi per costruire il famoso muro con il Messico che lui ha promesso in campagna elettorale.

L’ESTENSIONE DEL POTERE

La Washington delle istituzioni è una capitale diffusa sul territorio. Alcuni organismi fondamentali per la sicurezza nazionale, come il Pentagono (cioè il Dipartimento della Difesa) e la CIA si trovano addirittura all’esterno dei confini amministrativi della città. Ma già solo nell’area che attorno al National Mall contiene tutti i principali simboli del potere pubblico — esecutivo, legislativo e giudiziario — occorre camminare a lungo per raggiungere i diversi punti dove questo potere si esercita. Dalla Suprema Corte al Dipartimento di Stato, cioè dalla Corte Costituzionale al Ministero degli Esteri, ci sono almeno 4 chilometri.

Washington, West Wing
Washington, la “West Wing” della Casa Bianca, dove il Presidente ha il suo Studio Ovale

Nonostante le lunghe distanze che separano i luoghi simbolo del potere, alcuni di questi, almeno in apparenza, hanno delle dimensioni ridotte rispetto alla loro effettiva importanza. La famosa “West Wing” della Casa Bianca, rappresentata in molte serie televisive, è per esempio una dependance di quella che già spesso sembra la non proprio immensa residenza del Presidente americano. È praticamente quasi invisibile allo sguardo dei tanti turisti che si riversano nella Capitale. Ma contiene lo Studio Ovale, la Sala Stampa e la Situation Room (la stanza dove si riunisce il Consiglio sulla Sicurezza Nazionale e da cui partono gli ordini di guerra come quello di uccidere Bin Landen). Anche intesa globalmente, nel suo complesso di residenza per la famiglia presidenziale e di uffici esecutivi collocati nelle due ali, le dimensioni della Casa Bianca possono però offrire un’impressione fuorviante. Il simbolo universale del potere per eccellenza, almeno nell’ultimo secolo di Storia contemporanea, appare meno imponente di quel che è nella realtà. Perché distante dal pubblico, che può osservarlo solo da dietro le cancellate che lo circondano, e perché in parte nascosto dagli alberi del giardino. Difficile immaginare che questa sorta di mimetizzazione sia casuale.

GLI INVISIBILI IN EVIDENZA

A Washington i senzatetto non sono una prerogativa delle stazioni. Per chi arriva da una città come New York, l’indifferenza o anche solo la non particolare sorpresa verso gli homeless, seppur non giustificate, sono anche frutto del fatto che l’ambiente urbano dal quale sono circondati i senzatetto non è tra i più accoglienti. Anche in quella che per i turisti è la Manhattan da cartolina, strade malmesse, rifiuti sparsi, metropolitana fatiscente sembrano quasi l’ovvio riparo per i più disgraziati che il resto della società benestante fa finta di non vedere.

Ma nella più paludata e ordinata Washington, il contrasto è più evidente.

Washington, National Museum of African American History and Culture
Washington, il Museo Nazionale di Storia e Cultura Afroamericana

Nonostante la rigidità dell’inverno è possibile incontrare senzatetto ovunque. A volte, soprattutto quando è ancora presto e i poliziotti sono altrove, anche nei viali delle principali attrazioni turistiche, come i musei dello Smithsonian. Lungo Constitution Avenue, giusto a un paio di isolati dal centro per il Commercio Internazionale, quando ancora il sole è basso all’orizzonte, un uomo dorme sul marciapiede all’angolo con una delle grandi strade che conducono verso nord. È circondato da sacchetti pieni delle poche cose che possiede. La sua coperta non arriva oltre al cintura, lasciando il suo petto interamente esposto al freddo delle prime ore del mattino. Proseguendo poco oltre, arrivo davanti alla sede del nuovo Museo Nazionale di Storia e Cultura Afroamericana. Proposto per la prima volta a metà anni ’70, è stato finalmente inaugurato dall’ex Presidente Obama alla fine del suo secondo mandato, nel settembre 2016.

Chi arrivasse a Washington senza un minimo di idea sulla demografia americana penserebbe che negli Stati Uniti almeno la metà della popolazione sia afroamericana e che gran parte di questa metà sia piuttosto povera. La seconda impressione è in generale corretta. La prima impressione, invece, non può sapere che per lungo tempo, in effetti, la maggioranza della popolazione della città è stata afroamericana. Ma che questa proporzione non trova riscontro nella media del resto del Paese, dove gli afroamericani sono poco più del 12%.

WASHINGTON È LA CAPITALE DEGLI STATI UNITI (IN PIÙ DI UN SENSO)

Washington è una città nata quasi dal nulla ed è il risultato di pianificazioni e continui compromessi politici. Fino alla Guerra Civile la sua popolazione non superava gli 80.000 abitanti, quando New York era già grande dieci volte tanto e anche Philadelphia aveva almeno mezzo milione di abitanti. L’80% di questa popolazione era composto da schiavi liberati, costretti a stabilirsi nel distretto della capitale già a partire dalla fine della Guerra di Indipendenza. In molti Stati del Sud, infatti, non era più ammessa la loro presenza una volta che gli ex schiavi avessero acquisito la libertà. Dopo la Guerra Civile, in città sono diventate via via più numerose le comunità di irlandesi, tedeschi ed ebrei. Ma la comunità afroamericana ha mantenuto la sua preponderanza e così pure nel secolo successivo. A metà del ‘900, con la costruzione delle autostrade federali e dei “suburbs” a cui erano connesse, anche la piccola e media borghesia bianca di Washington, come nel resto degli Stati Uniti, ha abbandonato la città per seguire il più consolidato dei sogni americani, quello di una casa indipendente. Per decenni si è così accentuato lo squilibrio economico e sociale tra i bianchi in “fuga” nei sobborghi ricchi (in America si parla di “white flight”) e i neri rimasti a vivere nelle aree urbane con meno servizi e opportunità di crescita, quando non degrado e abbandono.

Il ritorno in città della borghesia bianca e benestante (“gentrification”) ha per la prima volta, nel 2001, fatto scendere sotto la soglia del 50% la popolazione afroamericana residente a Washington. Nonostante i neri costituiscano, nella sostanza, metà della popolazione cittadina, nella Washington del potere e delle professioni la loro presenza è assolutamente minoritaria. E ciò è evidente anche senza conoscere i dati: si percepisce già solo a livello empirico, basta guardarsi attorno nella Downtown degli uffici. Allo stesso modo sarà sufficiente osservare i tanti homeless per capire come la maggior parte di loro sia afroamericana. Una sofferta battaglia per i Diritti Civili, e poi i clamorosi successi nel mondo della musica, dello sport e pure un Presidente nero alla Casa Bianca per otto storici anni rappresentano solo una minima parte del lungo cammino che l’America ha ancora davanti a se prima di poter offrire uguaglianza effettiva e giustizia sociale a tutte le componenti della sua complessa società. Washington non fa eccezione. Anche in questo è davvero la Capitale degli Stati Uniti.

I SIMILI SI ATTRAGGONO

L’influenza esercitata dai diversi interessi economici sulle istituzioni politiche americane è da decenni oggetto di studio e critica costante in questo Paese. 100 Senatori e 435 deputati, per rappresentare oltre 325 milioni di persone su un territorio con quattro fusi orari, non giustificano forse il dominio del “big money” sulle elezioni. Ma rendono sicuramente illusorio, se non ingenuo, anche solo pensare ad una riduzione dei costi della politica. Qualcuno deve pagare questi costi. E chi paga non lo fa per beneficienza: vuole un ritorno del suo investimento.

Washington, World Bank, World Bank Group
Washington, la sede della Banca Mondiale

Anche l’urbanistica e la topografia di Washington sembrano riflettere simbolicamente la posizione sovrastante dei gruppi di pressione sulla capitale. Avendo alle spalle la facciata posteriore della Casa Bianca, e proseguendo in direzione nord lungo 16th Street dopo Lafayette Square, basta camminare due isolati per raggiungere K Street. Per anni è stata sinonimo di lobby e ancora oggi quando in America si parla dell’influenza di “K Street” si fa riferimento a tutti i possibili gruppi di pressione e advocacy.

In questo Paese i nomi delle strade finiscono spesso per assumere significati più generali. E così “Wall Street” è sinonimo dei giganti della finanza, in contrasto con “Main Street” (presente praticamente in tutte le città americane come la nostra “Via Roma”), cioè con i piccoli investitori, i dipendenti e, più in generale, con l’economia nel suo complesso. Nella politica americana spesso queste tre strade si incrociano metaforicamente. Oggi si contano sulle dita di una mano le società di lobby che abbiano un indirizzo su K Street, tipo la law firm K&L Gates. Ma tutte le più grandi società che offrono servizi di lobbistica, da Akin Gump a Podesta passando per Van Scoyoc (nomi sconosciuti ai comuni mortali ma veri e propri colossi del settore) si trovano comunque ancora a Washington, sparse ai quattro angoli della città.

Washington, Washington Post
La sede del Washington Post in K Street, la strada dei lobbisti

Fare gruppo ha però sicuramente senso: si sfruttano tutte le possibili sinergie, la vicinanza crea opportunità di incontri, collaborazioni, affari.

PENSIERO COMUNE

Anche se spesso si tratta solo di casualità e della relativa mancanza di spazio nel mercato immobiliare, la prossimità di certi simboli del potere sembra preordinata. In meno di dieci minuti a piedi dalla Casa Bianca, cioè nel raggio di 600 metri dalla scrivania del Presidente, si raggiungono le principali istituzioni finanziarie del sistema delle Nazioni Unite: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Se si preferisce, sono tra i pilastri dell’ordine globale costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale dagli Stati Uniti. Si trovano su due isolati adiacenti, separati solo dalla 19th Street.

A metà strada tra White House e FMI si trova anche l’ufficio locale di quello che forse è il principale “think tank” di politica estera in America, il Council on Foreign Relations. Il suo quartier generale è a New York, ma non può mancare una sede nella città dove vengono poi prese le decisioni dettate dalla geopolitica (ben più che dai Presidenti).

A proposito di think tank. Ce ne sono un po’ ovunque, in America. Ma i più importanti di questi centri ed istituti che ricercano e promuovono soluzioni in campo politico ed economico si trovano a Washington. Sarà forse un caso, di nuovo. Ma molti think tank si trovano concentrati in pochi isolati su e attorno Massachusetts Avenue. Conservatori, progressisti, tutti gli orientamenti politici sono rappresentati, così come tutte le possibili grandi questioni che complicano il mondo contemporaneo: dal Cato Institute al Carnegie Endowment for International Peace, passando per il Peterson Institute for International Economics e il Worldwatch Institute. Il grosso di questi think tank sembra poi concentrarsi poco prima di Dupont Circle, dove si trovano opposti ideologici come la Brookings Institution e l’American Enterprise Institute.

Brookings Institution
Washington, convegno “What will it take to move beyond GDP?” alla Brookings Institution

Sempre su Massachusetts Avenue, e sempre non così distante da Dupont Circle, c’è anche la possibilità di ripassare le bandiere del Mondo. Zona di ambasciate, o Embassy Row.

WASHINGTON E L’AMERICA SOPRAVVIVERANNO ANCHE A DONALD TRUMP

Dopo due ore trascorse alla Brookings ho ancora un po’ di tempo prima del mio appuntamento alla AFL-CIO. Finalmente il sole sta riscaldando l’aria. Davanti a un palazzo della John Hopkins University i miei occhi finiscono sul marciapiede. Il signor M. Yang ha perso non solo la sua tessera per comprare da Costco ma anche la carta di credito. C’è pure uno sbiadito post-it piegato in due, con quella che sembra la sua email. Forse basterebbe piegare anche la carta, cestinarla e lasciare che Mr Yang si accorga dello smarrimento: una sua telefonata in banca, carta bloccata, nuova carta in arrivo. Invece, dopo qualche isolato, vedo una macchina della polizia in attesa del semaforo verde. Mi sbraccio, la macchina accosta. Spiego all’agente dove ho trovato la carta di credito. Sorride ma lo sguardo che mi lancia è solo un anticipo. Sospira. «Magari avrebbe fatto meglio a lasciarle dove si trovavano…». Realizzo in ritardo che forse ha ragione lei. Rido, le dico che proprio non ho avuto cuore. No, non le serve la mia carta verde. Un indirizzo e un numero di telefono bastano e avanzano. Possibilmente, corpo del mancato reato e dati anagrafici verrano cestinati appena girerò lo sguardo. Lezione imparata.

Washington non è certo il primo posto che possa venire in mente per vedere celebrità. Ma se si è interessati alla cronaca politica, è qui che bisogna alzare lo sguardo per cercare volti sconosciuti alla stragrande maggioranza degli americani. Quando sono quasi arrivato alla sede del mio appuntamento, incrocio David Corn. È il corrispondente da Washington per Mother Jones, mensile progressista con sede a San Francisco. Corn è spesso autore di scoop politici importanti. Vorrei fermarlo ma è attorniato da studenti.

AFL-CIO
Washington, l’ingresso della Confederazione Sindadale AFL-CIO

Alla AFL-CIO mi accoglie una persona che da anni si occupa di trattati sul commercio internazionale e diritti dei lavoratori. Da mesi sta seguendo i nuovi negoziati sul NAFTA. La nostra conversazione, come inevitabile, finisce anche su Donald Trump e la sua amministrazione. Ma la posizione in cui si trova da mesi la più grande e importante confederazione sindacale d’America è proprio scomoda. Difficile fare opposizione ad un Presidente che ha cuore gli interessi delle grandi corporations quando molti degli iscritti alle tue federazioni (soprattutto quelle dei settori manifatturieri) hanno votato per lui. Alla mia interlocutrice è chiaro che la nottata deve passare, anche se la semplice resistenza non basterà. La lascio ai suoi mal di testa e riprendo la strada per Union Station.

Davanti alla Central Union Mission un uomo sta urlando insulti con tutta la forza possibile. È uno dei tanti senzatetto che sono qui per cercare aiuto. La Central Union Mission è un’organizzazione non-profit di Washington che lavora ad ampio raggio. Offre riparo agli homeless, gestisce programmi per adulti in difficoltà, per anziani, per bambini che vivono in famiglie disagiate, distribuisce cibo, vestiti, mobili. Le urla di quest’uomo hanno un destinatario preciso.

Donald Trump, Washington
Washington, Massachusetts Avenue, adesivo contro il Presidente Donald Trump e l’ingerenza russa nelle elezioni del 2016

“Cessi di paese? Cessi di paese??? Proprio tu? Parli proprio tu?? A te non interessa niente dell’America! Vai affanculo, Donald Trump! Tu non ami l’America!!”.

A partire dalla capitale Washington, con tutte le sue contraddizioni, gli Stati Uniti sono più vivi che mai.


Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *